Il gambero di fiume autoctono è un crostaceo che vive nei nostri corsi d’acqua dolce. Esso è lungo, circa 15 cm e può pesare fino anche un etto. Robusto di aspetto è di colore variabile : nero, grigio-verde, bronzeo, arancio-marrone mentre la parte ventrale è color panna. I maschi sono generalmente più grandi delle femmine. Un tempo era molto diffuso ma dagli anni sessanta del secolo scorso ha subito una forte riduzione ed è stato oggetto di varie estinzioni locali. Esso vive in ambienti acquatici puri, con acqua corrente e ben ossigenata, come quelli presenti nei nostri due parchi: rii, fossi, ruscelli e torrenti. Non gradisce, invece, fiumi di grandi dimensioni e laghi, non sopporta a lungo temperature sopra i 25°C, questo perché esige alte concentrazioni di ossigeno disciolto in acqua. Questi crostacei si nascondono durante il giorno negli anfratti naturali ed escono di notte per cacciare insetti acquatici, piccoli molluschi, animaletti morti, alghe, radici e detriti vegetali. Si accoppia in autunno e schiude le uova in tarda primavera. Durante l’anno di vita effettua una muta, spogliandosi del vecchio esoscheletro (guscio esterno). Il gambero di fiume è sensibile all’ inquinamento, vive solo in acque purissime ed è soggetto ad alcune patologie epidemiche oltre che a batteriosi e parassitosi. Se è disturbato o spaventato, fugge nuotando velocemente all’ indietro. Per questo, oggi è una specie superprotetta a rischio d’ estinzione. Gli antichi romani li consideravano veri e propri “spazzini dei fiumi”, mentre in epoca medioevale erano simbolo di morte e resurrezione. La sua sopravvivenza è a rischio, minacciata da vari fattori, il principale dei quali è l’ inquinamento dei corsi d’acqua causato dalle attività umane: scarichi fognari, fertilizzanti agricoli, metalli, pesticidi, cloruro di sodio (sale antighiaccio usato in inverno sulle strade). Poi ci sono nell’ordine: la diffusione di malattie fungine giunte nelle nostre zone con l’ introduzione dei gamberi esotici (uno dei casi più emblematici è l’introduzione della peste dei gamberi causata da un fungo di origine americana), la pesca di frodo, il cambiamento climatico che provoca secche prolungate e improvvise alluvioni. Questo gambero d’acqua dolce che per millenni è stato compagno dei nostri puri ruscelli di montagna, in alcuni casi ritenuto sacro per le nostre popolazioni, oggi è a rischio d’estinzione. E’ dovere di tutti preservarne la vita e la permanenza sui nostri corsi d’acqua, soprattutto perché la sua presenza è un importante segnale, uno “strumento vivente”, un termometro che misura la purezza delle acque.
Vittorio Camacci