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Ancor più complessa fu la questione di Arquata, località attualmente situata nell’area montana del Tronto, nella regione Marche, a pochi chilometri dal confine con l’Umbria e, di conseguenza, a circa venticinque chilometri di distanza da Norcia, mentre una trentina la dividono da Ascoli Piceno. Nei tempi presi in considerazione in questa sede essa faceva parte della provincia della Marca. La posizione geografica favorevole la rese luogo fortemente conteso nel corso del Quattrocento. Il territorio dell’arquatano, infatti, è prevalentemente montuoso ed è caratterizzato dalla presenza del monte Vettore, del monte Ceresa, del massiccio dei Sibillini e della catena dei monti della Laga. Il paesaggio varia tra alpestri pareti scoscese che si avvicendano a fitti boschi, tra pendii e ampie balconate naturali, verdi campi e aree pascolive. Il centro urbano di Arquata venne costruito a cavallo di un’altura nella zona dell’Alta valle del Tronto, lungo il versante sinistro dell’omonimo fiume che attraversa la zona, alle falde delle montagne che lo circondano, tra il corso stesso del fiume e il Fosso di Camartina. Il suo territorio comunale, solcato dalla Via Salaria, oltre a confinare come detto con l’Umbria, si estende sino ai confini con Abruzzo e Lazio. Una posizione, pertanto, che come nel caso di Norcia permetteva lo sviluppo di ben determinate attività produttive e manifatturiere. Una posizione, inoltre, che la vedeva raggiungibile attraverso la suddetta Via Salaria, che, come già spiegato nel capitolo incentrato sull’economia nursina, poneva anche Arquata nel pieno di quei fiorenti itinerari commerciali i quali, nel corso del secolo XV, caratterizzavano l’area centrale della penisola italiana, collegando il settore settentrionale a quello meridionale. Sono queste le principali motivazioni per cui Arquata le pretese di conquista nei confronti della località in questione furono forti per tutto il Quattrocento. Vicende che coinvolsero, soprattutto, Norcia, Ascoli e la Santa Sede. Alcune opere erudite raccontano che già alla fine del Trecento gli scontri si accesero e che la comunità nursina, con l’appoggio dei fuoriusciti ascolani di factio ghibellina, fosse riuscita ad impadronirsi del castello arquatano, perduto poi nuovamente, non molto tempo dopo, per effetto di una pesante sconfitta subìta ad opera del contingente militare della città di Ascoli 1003. Tuttavia fu sotto il pontificato di Martino V che la situazione subì una decisa evoluzione in favore della cittadina umbra. 1002 ASV, Cam. Ap., Div. Cam., vol. 37, c. 178v. 1003 Si rimanda, in particolare, all’opera settecentesca di Francesco Antonio Marcucci, ovvero il suo Saggio sulle cose ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno, che nel secolo scorso è stata oggetto di una 217 Che tra il papa della casata dei Colonna e Norcia ci fossero buoni rapporti questo è stato evidenziato già nel corso del precedente capitolo. Giuseppe Fabiani, nella sua opera sulla città ascolana nel Quattrocento, affermava che i rapporti tra quest’ultima e i nursini si fossero ancor più incrinati proprio nel periodo martiniano, quando i secondi appoggiarono militarmente le truppe della Chiesa di Roma nell’operazione di repressione della ribellione arquatana risalente al maggio del 1425 1004. Tutte queste premesse per giungere al momento chiave, che cambiò in maniera forte la questione. In seguito alle ulteriori pressioni di rivendicazione fatte da Norcia, nonché ai costanti focolai di scontro tra le due suddette parti in gioco, nel mese di luglio dell’anno 1429 Martino V si decise a soddisfare la cittadina umbra concedendole, tramite relativo contratto 1005, il vicariato su Arquata dietro pagamento di settemila fiorini. Nel medesimo contratto, ovviamente, erano presenti i consueti inviti alle autorità nursine affinché amministrassero con giustizia quella terra, affinché perseguissero la corruzione dei costumi, affinché appoggiassero le opere degli uomini virtuosi; inoltre la Santa Sede si manifestava certa che tale scelta in favore di Norcia sarebbe stata la soluzione migliore per un più giusto governo sulla comunità arquatana. In un documento di poco successivo, risalente al seguente mese di agosto 1006, veniva anche chiarito il fatto che da quel momento la cittadina umbra dovesse pagare annualmente alla Camera Apostolica un censo per l’affitto di Arquata, come già è stato possibile constatare nelle analisi sull’operato finanziario pontificio in area nursina effettuate nel precedente capitolo. Di certo la popolazione della località della Marca non poteva accettare di buon grado la decisione presa dal governo centrale e, infatti, continuò a lungo a sostenere che la concessione elargita nei confronti del comune umbro non prevedesse un pieno comando da parte di quest’ultimo, bensì un più semplice controllo esente, in particolare, dall’appropriamento delle entrate comunali. Fino agli anni Sessanta del Quattrocento, tuttavia, la situazione rimase abbastanza tranquilla, senza che si accendessero rilevanti tensioni. Un notevole scontro, invece, si consumò tra gli anni 1465 e 1466. Ancora una volta è stato Giuseppe Fabiani a raccontare in maniera chiara come si svolsero i fatti di guerra, mentre la documentazione conservata nell’Archivio Segreto Vaticano e nell’Archivio Storico Comunale di Norcia permette di ricostruire meglio le modalità dell’intervento della Santa Sede per porre fine al conflitto armato, nonché per riportare una situazione di maggiore equilibrio. Le due parti in gioco erano nuovamente i nursini e gli ascolani, questi ultimi appoggiati, in tale specifica occasione, anche dalle truppe delle comunità di Accumoli e di Amatrice. Gli armati di Ascoli inizialmente, circa un paio di centinaia e sotto il comando del capitano Vincenzo Ficcadenti, si attivarono nel tentativo di conquistare Arquata, togliendola al controllo della cittadina di san Benedetto. La risposta di quest’ultima fu quella di attuare una serie di scorrerie contro ristampa anastatica, più precisamente nell’anno 1984. Si veda anche quanto rapidamente detto in DE’ REGUARDATI, L’Umbria Ducati di Spoleto e Norcia nel sec. XV, p. 127. 1004 Per tali informazioni si rimanda a FABIANI, Ascoli nel Quattrocento, vol. I, p. 55. 1005 ASV, Arm. 36, vol. 9, cc. 78r-79r. 1006 ASV, Arm. 36, vol. 9, cc. 80r-81r. 218 alcuni castelli dominati dalla comunità ascolana medesima, la quale a sua volta non mancò di reagire, mobilitando altre circa seicento unità e ricevendo, solo a questo punto, l’ausilio di accumulesi e amatriciani. Il nuovo possente contingente mise sotto duro attacco Arquata stessa, faticando abbastanza per via della strenua difesa che i nursini furono capaci di opporre, ma riuscendo nell’intento finale di farla capitolare, seppur con gravi perdite da registrare per l’una e per l’altra parte 1007 . La Chiesa di Roma, data la situazione, decise di intervenire. In una bolla datata all’inizio di maggio del 1466 veniva stabilito quanto segue: allo scopo di porre fine agli scontri e di evitare che si generassero ulteriori e più gravi problemi veniva inviato in quei luoghi l’arcivescovo di Milano Stefano Nardini, in qualità di commissario apostolico, con piena autorità di disporre in merito ai tragici accadimenti; l’obiettivo finale, raggiunto, era quello di imporre ai soggetti in causa una tregua di cinque anni, la pena per chiunque l’avesse rotta riprendendo qualsiasi tipo di azione di forza era pecuniaria e ammontava a ben diecimila ducati 1008. Qualche mese più avanti, a novembre, il papa, Paolo II, con una nuova bolla diretta alla comunità di Norcia, imponeva ad essa la riconsegna pro aliquo tempore della terra di Arquata, la quale sarebbe andata nelle mani del suo familiare Alfonso de Motis 1009. Durante il papato di Sisto IV i contrasti ripresero vigore. Gli ascolani non volevano accettare che la situazione si concludesse definitivamente con le decisioni e gli interventi di Paolo II. In una registrazione contenuta nelle riformanze della città della Marca, risalente all’ottobre del 1471, le autorità locali vararono la missione diplomatica di alcuni oratori presso il pontefice, con l’intento di convincerlo ad operare affinché venisse restituito ad Ascoli il possesso sulla cittadina arquatana 1010. Ma dalla Santa Sede non emergeva alcuna intenzione di cedere quella località ad alcun contendente, tanto che tramite breve datato al marzo del 1474 era specificato esattamente ciò anche alla medesima popolazione di Arquata 1011. Alcuni anni più tardi il governo centrale si vide costretto ad emettere nuove disposizioni dal momento che, stavolta, erano stati i nursini a fare pressione rivendicando i propri diritti in merito a tale questione, creando inoltre un evidente malcontento tra gli ascolani. Così, con una nuova bolla risalente al marzo del 1479, il pontefice faceva confermare in maniera ferrea che il castello arquatano non sarebbe stato ceduto ad alcun pretendente 1012 . La preminenza nursina su quest’ultimo non si placò. Norcia proseguì nel comportarsi con Arquata medesima come se ne fosse politicamente in possesso. Fu per tali motivazioni che il successore di Sisto, Innocenzo VIII, ad ottobre dell’anno 1485 si 1007 Per tali informazioni si rimanda a FABIANI, Ascoli nel Quattrocento, vol. I, pp. 111-112. 1008 ASCN, Diplomatico, Cassetto MM, n. 12 oppure anche ASV, Reg. Vat., 525, cc. 196r-197r. Il documento è stato anche edito dal Theiner in Codex diplomaticus, sous la dir. de THEINER, vol. III, p. 447. 1009 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 460r. 1010 Si rimanda a DE’ REGUARDATI, L’Umbria Ducati di Spoleto e Norcia nel sec. XV, p. 130, il quale recuperava l’informazione da ACAP, Riformanze, 3 ottobre 1471, c. 208v. 1011 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 450r. 1012 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 451r. 219 vide costretto a rivolgersi al legato papale della Marca: con una lettera fece notare a costui che i dissidi tra nursini e ascolani avevano frequentemente scosso l’equilibrio di quell’area, nel corso degli ultimi anni, anzi decenni, e lo invitò ad agire affinché qualunque tipo di discordia venisse finalmente ricomposta 1013. Una nuova svolta nella questione, tuttavia, si verificò nel corso del 1491. Ad inizio settembre, considerata la fortissima pressione che Norcia continuava a fare in merito a tale situazione, il pontefice dovette emanare una bolla con la quale mettere in chiaro una serie di elementi: ovvero, in particolare, nel documento si esplicitavano i diritti reali che i nursini avevano effettivamente su Arquata, spiegando come in base agli accordi già risalenti al papato di Paolo II quest’ultima era stata affidata alla cittadina umbra in qualità di pegno, pertanto non sussistevano le pretese di vera e propria sovranità che la comunità dell’attuale Valnerina aveva manifestato nel corso di tutto il tempo precedente. Inoltre il regesto riportato nello specifico indice dell’Archivio Segreto Vaticano all’interno del quale è appunto menzionata la presente bolla, recita chiaramente la seguente formula: «ad reponendum eos sub commendatione nursinoroum» 1014, e quell’eos è riferito agli arquatani. Una formula che riassume in estrema ma perfetta sintesi il contenuto del documento, ossia la riconferma dei diritti nursini sulla cittadina della Marca 1015. Non è tutto. Trascorsi solo un paio di giorni una seconda bolla aggiungeva ulteriori disposizioni. Stavolta Innocenzo VIII inviava in quelle terre il commissario Bartolomeo di Auria, per fare in modo che le parti rispettassero quanto stabilito nel suddetto atto e, inoltre, per ricordare alla comunità di Norcia che doveva pagare alla Camera Apostolica la consueta taglia per il vicariato su Arquata, mentre quest’ultima, a sua volta, doveva rendere conto solo ed esclusivamente alla Santa Sede in merito alle questioni di pura sovranità 1016 . All’interno del registro di riformanze conservato presso l’Archivio Storico Comunale della cittadina di san Benedetto, dedicato al biennio 1491-1492, è possibile constatare come in più di un’occasione le varie assemblee locali si occuparono del reperimento del denaro necessario al pagamento del debito, nei confronti della Camera Apostolica, determinato dalla reintegrazione del castello arquatano di cui si è appena trattato. Un esempio di grande interesse è quello relativo a due registrazioni dell’inizio di ottobre del 1491, quando le autorità nursine prima annunciavano di doversi occupare, per l’appunto, «quod agendum super pecuniis haeredis pro necessitatibus et opportunitatibus comunis et debitis per solvendis circa recuperatio et reintegratio» 1017 della terra di Arquata, poi si pronunciavano sulla regolamentazione relativa. In estrema sintesi venivano imposte nuove tassazioni per focolare (decisamente basse 1013 ASV, Arm. 39, vol. 19, c. 32r. 1014 ASV, Indici, Garampi, n. 676. 1015 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 454r. 1016 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 469r. 1017 ASCN, Riformanze, Reg. 1491-1492, cc. 10v-11r. 220 monetariamente parlando, si menzionava addirittura un solo fiorino per fuoco) e dei prestiti da ottenere dai cittadini più abbienti 1018 . In quello stesso periodo, nel corso del medesimo anno, le truppe nursine erano altresì impegnate, a fianco della Santa Sede, in una spedizione militare che aveva come obiettivo primario proprio la città di Ascoli, ribellatasi al dominio pontificio sia in parte per la costante problematica considerata sino ad ora, sia in altra parte a causa di un più generale agitazione delle terre della Marca. Una registrazione contenuta nelle riformanze di Norcia, datata alla fine di settembre, dunque una ventina di giorni successiva alle bolle papali di cui sopra, testimonia di una delibera «pro mittendis 400 peditibus contra Asculanos» 1019, in seguito alle richieste in proposito presentate soprattutto dal legato di quella provincia, Antonello Savelli, e dal capitano di Santa Chiesa Pietro Colonna. Anche in vista di tale importante appoggio Innocenzo VIII, all’inizio di quello stesso mese, aveva ribadito i diritti dei nursini su Arquata. Il che pone in risalto, ancora una volta, la stretta connessione tra eventi di ambito maggiormente locale ed eventi di scala più ampia e complessa. Superati gli intrecci e le grandi manovre del 1491, lo scenario di tensione non accennò affatto ad esaurirsi. Norcia, infatti, non si faceva bastare il semplice possesso in pegno che era stato ribadito da poco e con decisione. Nel mese di aprile dell’anno 1493 fu redatto un vero e proprio atto notarile in comune accordo tra i nursini e gli arquatani, che si conserva anch’esso nell’Archivio Segreto Vaticano, all’interno del quale veniva attestato che la terra di Arquata rientrava nei territori del contado della cittadina umbra. Comparivano quali testimoni nel documento alcuni uomini quali, ad esempio, il già più volte incontrato Montano Gargani. Il redattore, invece, era Lazzaro Battista Antonii, notaio che nel corso della presente attività di ricerca è stato già visto all’opera in alcuni registri del fondo notarile di Norcia. Ancor più interessante risulta il fatto che avessero sottoscritto l’atto i priori arquatani 1020. Si trattava, certamente, di un passo avanti notevole in favore dei nursini, i quali iniziarono ad agire con maggiore decisione, come mostra ampiamente un breve di Alessandro V, datato al dicembre dello stesso 1493, in cui la Santa Sede si esprimeva con circospezione in merito ad una questione: la comunità dell’attuale Valnerina aveva cominciato ad esigere da ciascun individuo di Arquata ventiquattro fiorini ogni mese, per fronteggiare le spese di custodia e manutenzione di quel castello ed ovviamente coloro i quali subivano tale imposizione non fecero altro che rivolgersi direttamente a Roma per domandare il parere della autorità pontificie 1021. Il tribunale ecclesiastico, a fine maggio dell’anno successivo, emise la sua sentenza in proposito, dichiarando ingiusto il fatto che «24 florenorum quos singulo mense universitas et homines Nursie ab hominibus et universitate 1018 ASCN, Riformanze, Reg. 1491-1492, cc. 14r-15r. 1019 ASCN, Riformanze, Reg. 1491-1492, cc. 6v-7v. 1020 ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 625r-626r. 1021 ASCN, Diplomatico, Cassetto MM, n. 35. 221 hominum Arquate pro custodia Arcis Arquate sibi solvere debere pretendebant» 1022 , accogliendo pertanto il reclamo presentato dagli arquatani. Di conseguenza, quando alla metà di agosto del 1495 un oratore inviati da Norcia, ovvero Anastasio Laro, per il pagamento del censo annuo dovuto al possesso di Arquata portava tale compenso alla Camera Apostolica, quest’ultima si rifiutò di accettarlo poiché lo pretendeva direttamente dalle autorità del castello della Marca. Evento che si ripeté identico (quel che cambiava era esclusivamente l’oratore protagonista, in tale occasione nella persona di Pietro de Gabellimus) ad agosto del 1498 1023. Due anni e mezzo prima, inoltre, con un breve risalente al gennaio del 1496 papa Alessandro VI inflisse una dura pena ai nursini, rei di aver nuovamente invaso a mano armata la terra arquatana e di aver fatto saccheggi e procurato danni di elevatissimo valore finanziario: dovevano quindi restituire ogni bene al legittimo proprietario e dovevano pagare diecimila ducati d’oro per l’azione perpetrata 1024. E poco dopo, con una bolla ad perpetuam rei memoriam, dichiarava sciolto il precedente contratto di pegno e riportava definitivamente Arquata sotto il controllo diretto della Santa Sede; le autorità di Norcia dovevano conseguentemente consegnare all’inviato papale, Filippo Mazzancollis di Terni, quel castello e tutte le sue pertinenze 1025 . La questione, nei fatti, non si concluse e ancora per i due secoli successivi tenne fortemente banco, ma questa è un’altra storia. Deve essere tuttavia ricordato un elemento interessante: a fasi alterne per tutto il corso del Quattrocento, per lo meno in base a quanto documentabile attraverso i non molti registri di riformanze attualmente rimasti, nelle attività assembleari nursine era prevista anche la nomina di castellani per la terra arquatana e, in talune occasioni, non molte in verità, di podestà direttamente posti da Norcia in quel castello (su queste ultime due figure si veda pure l’appendice posta alla fine del presente capitolo); tutti rigorosamente nursini e, alcuni, provenienti da gruppi familiari di elevato livello, ovvero da quelle stesse casate magnatizie emerse nel corso dei capitoli precedenti. Il che accentua la testimonianza del fatto che la cittadina umbra fosse talmente tanto interessata ad avere in quel luogo un dominio di effettiva sovranità da comportarsi nei suoi confronti come con qualunque altro castrum del suo contado. Ritenendo, altresì, di possedere davvero tale autorità, altrimenti non avrebbe varato tali nomine. Anzi, comportandosi nel contesto arquatano in maniera anche più ferrea rispetto al consueto, poiché solitamente nei castelli sui quali i nursini avevano reale dominio non ponevano ufficiali podestarili 1026 . 1022 ASV, Arm. 36, vol. 9, cc. 455r-456v. 1023 Per entrambi gli ultimi eventi si rimanda a: ASV, Arm. 36, vol. 9, c. 458r. 1024 ASCN, Diplomatico, Cassetto A, Fascicolo VI, n. 7 oppure anche ASV, Arm. 36, vol. 9, cc. 457r457v. 1025 ASV, Arm. 36, vol. 9, cc. 602r-604v. 1026 Per maggiori informazioni sulle castellanie e sugli ufficiali che Norcia nominava direttamente nei castelli del proprio contado si rimanda alle pp. 145-148 del quarto capitolo della presente trattazione, dove tra le note si menzionano anche alcuni esempi di nomina di podestà inviati in Arquata. 222 Per sintetizzare quanto emerso dall’analisi degli accadimenti relativi alla questione di Arquata, con l’obiettivo di fornire un quadro finale più chiaro, è dunque corretto ricordare come dopo i primi focolai di scontro verificatisi nella parte finale del Trecento tra nursini e ascolani per il possesso di quest’ultima, Martino V la concedette in vicariato a Norcia, già allora come pegno in cambio di settemila fiorini, nell’anno 1429. Durante il pontificato di Paolo II, invece, la Santa Sede si vide costretta a porre rimedio ad un tremendo conflitto armato che vide protagoniste, oltre alle due parti costantemente in gioco, anche le truppe di Accumoli e Amatrice, accorse in sostengo di Ascoli. Nel 1466 l’intervento papale portò al raggiungimento di una tregua e alla consegna, per un certo tempo, della terra arquatana ad un familiare del Santo Padre. Sotto Sisto IV il governo centrale dovette resistere più volte alle pressioni che gli giungevano dall’una e dall’altra parte in causa, fin quando nel 1479 volle ribadire ufficialmente in maniera ferrea che Arquata non sarebbe stata ceduta a nessun pretendente. Innocenzo VIII, dal canto suo, fu costretto nel 1491 ad emanare una bolla con la quale riconfermava i diritti di Norcia nei confronti del castrum della Marca, mettendo nuovamente in chiaro, tuttavia, che quest’ultimo le era stato affidato solo ed esclusivamente in qualità di pegno, tanto che nel testo del documento si parlava esplicitamente di commendatione. Conseguentemente non avevano modo di sussistere le pretese di piena sovranità che la comunità nursina continuava a manifestare. Il tutto mentre nel frattempo le truppe nursine erano impegnate, a fianco della Santa Sede, in una spedizione militare che si impegnava a riportare una situazione di maggiore equilibrio proprio all’interno della Marca, agitata da ribellioni varie nei confronti del papato e anche dalle forti rivendicazioni ascolane su Arquata stessa. Alessandro VI, infine, si vide costretto nel 1496 a sciogliere definitivamente i patti che i suoi predecessori avevano stretto con Norcia, dopo che questa aveva messo in atto una serie di azioni sempre più pressanti nei confronti della popolazione arquatana, inizialmente da un punto di vista strettamente fiscale, poi da un punto di vista militare. Anche la lunga e complessa vicenda legata alla questione di Arquata, in conclusione, ha confermato alcuni di quegli elementi già emersi quando si è trattato delle relazioni tra i nursini e le altre realtà più o meno vicine dell’area più prettamente umbra. Anche stavolta, infatti, è apparsa notevole la connessione tra gli accadimenti conflittuali che coinvolgevano medie e piccole comunità locali e gli interessi dei grandi poteri, come per l’appunto il papato. Anche stavolta è stata constatata la volontà forte, da parte del governo pontificio, di conservare il più possibile l’equilibrio all’interno dei territori inseriti nel proprio dominato, per avere un più agevole controllo politico in loco, facendo concessioni in determinati momenti e tenendo un atteggiamento più rigido, di contro, in altri, a seconda delle diverse necessità contingenti. Anche in tale occasione, inoltre, è sembrata forte la resistenza di Norcia ad ogni tentativo di restrizione e di ostacolo opposto nei confronti delle proprie rivendicazioni. Anche a proposito della questione arquatana, infine, alcune volte la Santa Sede si era appoggiata direttamente alla comunità nursina per cercare di facilitare il processo di raggiungimento di un maggiore equilibrio in quelle terre, come quando Martino V le 223 concedette Arquata in vicariato quale pegno. Generando, tuttavia, tensioni ancora più energiche, le quali rimasero accese, in maniera intermittente, per il corso dei successivi tre secoli.