Nel cielo i cirri primaverili si rincorrevano mentre il vento si insinuava tra i rami frondosi, gli ultimi lembi di neve, persistenti nelle zone più ombrose, cedevano all’ avanzare della bella stagione. il gruppo era composto da sette uomini, che armati di asce di pietra e lance avanzavano aprendosi un sentiero nella foresta. Seguivano le donne, con gli ultimi nati, trasportati in rudimentali marsupi di pelle, con i figli già svezzati che trotterellavano al fianco. Il ritmo era lento, i passi ostacolati dalle asperità del terreno e dal peso delle vettovaglie riposte in varie sacche di pelle animale. Il viaggio doveva condurre il clan verso un luogo favorevole ad un insediamento, un sito protetto e sicuro. L’altopiano apparve all’improvviso, circondato dalle vette appenniniche che con le loro maestose cime sembravano guidare il pensiero verso il cielo, apparendo agli occhi dei nostri antichi progenitori come altrettante sentinelle di un paesaggio affascinante inciso da numerosi corsi d’ acqua, che facevano sentire il loro fragore tra lo sciogliersi delle nevi primaverili. Si, sembrava proprio il posto giusto, il lungo viaggio era terminato. Quel giorno di un tempo molto lontano dette origine ad un popolo fiero ed ostinato, ricco di tradizioni e cultura, dedito principalmente alla caccia ed alla raccolta dei frutti di bosco. Passarono i millenni ed i discendenti di questi formidabili uomini dei primordi si ritrovarono a vivere nel territorio dell’ Alta Marca Pontificia, legati alla religione cattolica e forti nella tenacia dei propositi alimentati dal ricordo delle gesta dei loro padri, formati sempre da una natura aspra, un clima rigido, una povertà contadina, guidati da preti del luogo che ricordavano loro, spesso, della volubilità della vita terrena. Intorno alla metà dell’ottocento essi combatterono come irregolari papalini contro gli idealisti repubblicani, in un’ habitat favorevole all’ imboscate: montuoso, irregolare, accidentato, intersecato da fossi e burroni, privo di articolazioni stradali e cosparso a macchia di radure. Più di mille uomini che setacciarono il territorio, alla ricerca delle truppe regolari. Indossavano un cappello pretino, stivali e scarponi da montagna, giubbotti di pelle dove veniva appesa un’ effige della Madonna. Con un sacerdote in testa marciavano armi in pugno intonando inni sacri. Coloro che tradivano venivano catturati ed uccisi senza pietà. Il Giovedì Santo del 5 aprile 1849, le truppe dell’ascolano Matteo Costantini, figlio di Sciabolone ed ex-brigante passato alla Giovine Italia, lasciarono il presidio arquatano per un pattugliamento di routine verso la bassa valle del Tronto. Fu così che scattò l’attacco dei volontari pontifici, tutti spelongani, che entrarono ad Arquata passando per Porta Sant’Agata, guidati dal capitano Fabriziani. Armati alla meno peggio di zappe, forconi e altri utensili agricoli ma anche diversi fucili conquistarono presto il centro del paese al grido di “Viva il Papa Re”, costringendo i venticinque uomini del contingente di guardia, capitanati da un tenente svizzero, a retrocedere dentro la Rocca. Il giorno dopo, centocinquanta uomini, capeggiati da Don Domenico Taliani di Montegallo andarono a dar manforte agli spelongani, ponendo sul balcone comunale le insegne pontificie al posto delle repubblicane. La reazione delle truppe antagoniste è immediata ed il 14 aprile lo squadrone del colonnello Rosselli parte da Acquasanta verso ovest, gli arquatani vengono trattati come ribelli, vengono arrestati gli uomini più importanti del paese ed i Priori ecclesiastici con l’ accusa di aver infamato gli spiriti semplici della popolazione con le loro omelie. La casa dei Fabriziani viene incendiata e vengono presi in ostaggio il curato del paese ed il padre del capitano Fabriziani. Una burrasca estiva, invocata con le preghiere alla Madonna della Salute, fermò l’ira del colonnello Rosselli, le forze papaline ebbero il tempo di ritirarsi nelle selve circostanti rimanendo praticamente intatte. Solo nel 1849, quando Ascoli Piceno tornò nelle mani del governo papalino la Santa Sede rimborsò tutti i militari sanfedisti con 2.000 scudi per le popolazioni arquatane e montegallesi che avevano difeso con onore lo Stemma Vaticano.
(Quando la tempesta sarà finita. Probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla ed ad uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato).
Vittorio Camacci