Nelle nostre zone è ancora viva la tradizione dell’ improvvisazione poetica in ottava rima: il cosiddetto canto a braccio. Essa affonda le proprie radici nell’ antico mondo agricolo-pastorale. La sera, conclusa la faticosa giornata di lavoro, i montanari si riunivano nelle aie, nei cortili o nelle osterie per trascorrere alcune ore di svago. Alcuni di essi si dilettavano fino a notte fonda nel cantare poesie in ottava rima spesso accompagnati dal suono delle ciaramelle o dall’organetto. Essi traevano ispirazione da grandi temi cavallereschi che venivano tramandati spesso per tradizione orale, in quanto molti erano analfabeti, ma conoscevano a memoria poemi classici come l’ “Orlando Furioso” o la “Gerusalemme Liberata”. Da questa loro conoscenza dei grandi poemi cavallereschi del cinquecento e delle grandi liriche traevano poi linfa e modelli espressivi per le loro canzoni estemporanee. Infatti, il canto a braccio è una composizione improvvisata in ottava rima su vari temi da due o più poeti. i temi possono essere svariati: religioso, familiare, amoroso, burlesco, sociale, politico, guerresco, naturale ecc. ecc. Per rendere più appassionanti e divertenti le tenzoni poetiche i temi vengono trattati a contrasto: angelo-demonio, pecora-lupo, mare-montagna, giovane-vecchio, suocera-nuora ecc. ecc. L’immaginazione e l’estemporaneità né costituisce la caratteristica principale mentre la tecnica più usata è l’ottava rima: strofe di otto versi, endecasillabi, di cui i primi sei sono a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata, ma diversa da quelle precedenti e uguale a quella del primo verso dell’ottava successiva. La cadenza della declamazione del verso è il gorgheggio che, regala al cantatore un po’ di tempo per improvvisare in rima il verso successivo. Ecco un esempio in ottava rima che mi ha dedicato un amico:
A – Vittorio, ti ringrazio a voce piena
B – Per tutto quello che mi hai scritto
A – Il tuo cantare è come una sirena
B – Spazia e gira con il vento dritto
A – Spelonga smania e non si frena
B – Persa nel canto e a chi ne ha il diritto
C – Piace il tuo verso amabile e cortese
C – E quello che decanti al tuo paese.
La bravura del poeta consiste nel mettere in difficoltà l’avversario chiudendo l’ottava con una rima molto difficile.
La poesia estemporanea basa le sue radici in un passato remoto quando intorno al VII secolo a.C. , in una zona dell’Etruria meridionale abitata dai Prischi Latini, presso la misteriosa città di Fescennino, si usava cantare con il volto coperto da una scorsa d’albero “versibus alternis” denominati “Carmi Fescennini” che niente avevano in comune con gli “Aedi Greci”. Nei secoli più tardi anche in altri paesi si sviluppò l’improvvisazione poetica. Ad esempio in Provenza, intorno all’XI secolo, si diffusero i “trovatori” che usavano una lingua segreta, contenuta in sei dialetti occitani, ispirandosi all’amor cortese dei “Minnesànger” germanici. Essi cantavano, in misterioso occitano, il ricordo dell’ amor perduto, dell’ amor cortese. Queste poesie contenevano spesso messaggi cifrati e segreti simbolici legati ai culti catarici. Più tardi, con il passar del tempo esse persero ogni significato spirituale, iniziatico e metafisico passando all’amore individuale, personalizzato cantato nella novella e nel romanzo. Anche nei paesi di lingua ispano-portoghese venne praticata la poesia estemporanea con l’ uso della “Decima” detta anche “Espinela”. Essa è formata da dieci versi ottosillabici nella combinazione di rime: ABBAACCDDC. Abbandonata nel vivace dimenticatoio in cui si rifugia la musica di tradizione orale italiana, quando non oggetto di revival d’ intrattenimento da palcoscenico o di riappropriazioni identitarie, la poesia estemporanea in ottava rima è una pratica fortemente radicata nelle nostre zone, nella Sabina, nella Tuscia viterbese, in Toscana e nell’appennino emiliano-romagnolo, grazie al modo in cui la parola poetica viene costruita attraverso la voce cantata essa mantiene un “nesso musaico” che fa rimanere in vita il nomos poetico musicale in cui si reggeva l’Arcadia, è una pratica relazionale che si avvale di un immaginario comune, di cui fanno parte il mito del poeta-pastore e i grandi poeti della letteratura italiana, in primo luogo Dante, Ariosto e Tasso, che venivano in passato memorizzati. Questa poesia vive preferibilmente in ambienti marginali, tra la gente comune, in luoghi ancora legati alla pastorizia ed all’agricoltura, anche se i poeti attuali, in gran parte, non sono più pastori o contadini e si esibiscono ormai sui palchi dei festival paesani. I nostri avi amarono la poesia estemporanea e spesso erano convinti che essa fosse un dono divino concesso alle anime pure, semplici e fantasiose. Non a caso il cantore estemporaneo era un artista particolare che doveva conoscere la metrica poetica, avere buone doti canore e di intonazione a “cappella”, ovvero senza accompagnamento. Fortunatamente quest’arte non si è persa nei secoli grazie ad ostinati poeti a braccio, di rara sollecitudine, portatori di saggezza e buoni sentimenti che hanno sempre indagato l’arcano della Natura. Natura che è splendida bellezza e si fa poesia tra le case e le attività degli uomini. E’ allora che la bellezza si fa amore. Amore per la propria casa, per la madre, la famiglia, il lavoro, l’amicizia e la nostra terra. Così le antiche tradizioni letterarie auliche del Petrarca, di Dante, dell’ Ariosto, del Tasso, del Leopardi, del Pascoli, del Belli, mischiate a quelle popolari dei nostri cantori estemporanei potranno salvarci dalla distruzione. Non quella dei nostri paesi ma quella dell’ anima.
Un particolare grazie agli “ultimi cantori”: Francesco Guccini, Walter Galli ( Emilia-Romagna ); Beatrice Bugelli, Anton Francesco Menchi, Eugenio Bargagli, Realdo Tonti, David Riondino, Roberto Benigni, Gino Ceccherini, Vasco Cai, Elio Piccardi, Marco Betti, Marinella Marabissi e Mauro Chechi ( Toscana ); Domenico Perilli, Bernardino Perilli e Marcello Patrizi ( Abruzzo ) ; Pietro Santolini, Domenico Franchi, Angelo Crisciotti e Urmare Giambotti ( Marche ) ; Di Carmine Virgilio, Pietro De Acutis, Riccardo Colotti, Vincenzo Pulcini, Mario Proietti, Ruggero Centi, Adalberto Fornari, Enrico Rustici, Alessio Runci, Francesco Lalli “Franchino”, Angelo Casini, Elia Casini, Felice Casini, Francesco Casini, Pietro Casini, Blandino Cesarei, Emidio Cesarei, Mariano Antonelli, Paolo Cioni “Paolino”, Orlando Persio, Francesco Calabresi, Saverio Lopez, Pasquale Mariani, Domenico Guidoni, Paolo Santini, Dante Valentini, Francesco Marconi, Giampiero Giamogante, Giuseppe Schinoppi, Peppe Felci, Domenico Pallotta ” Biscarino “, Guido Blasi, Titta Marini, Spartaco Compagnucci e Agnese Monaldi ( Lazio ) ed a tutti gli altri.
Vittorio Camacci